I testi di questa pagina sono riportati dal Libro della Comunità
“Una Comunità in Cammino”
a cura di Giuseppe Grand e Giovanni Odetti
Ed. Graphot
Aspetti Costruttivi
La nostra chiesa è costruita “… in un lembo di terra fra i più belli della città di Torino – dice don Silvano presentando la nostra parrocchia al card. Poletto in visita pastorale nel 2007 – circondato da due fiumi, il Po e la Dora, un ampio spazio verde condiviso con il resto del quartiere, coronato dal verde della collina sotto lo sguardo amoroso della Madonna di Superga”.
L’aspetto del luogo, inizialmente prati orti e cascine con mucche al pascolo, è cambiato a poco a poco nel corso di questi cinquanta anni e anche le strutture della nostra parrocchia si sono adeguate a questo lento rinnovamento per assumere l’aspetto attuale. Di pari passo anche la
comunità di S. Giulio si è rinnovata, per rispondere alle esigenze degli abitanti del quartiere e dei cambiamenti dei tempi, senza tuttavia perdere la sua connotazione iniziale: locali e comunità sempre in cammino, “… strutture e persone – scrive don Giacomo nel 1997 – locali e contenuti forti devono camminare insieme nella direzione di una comunità a cui sta a cuore il Vangelo di Cristo, la Buona Novella da accogliere e vivere, qui, in Vanchiglietta, in queste strutture, con queste persone che siamo noi, nella diversità dei ruoli, delle sensibilità, ma formando un solo Corpo, il cui capo è Lui”.
Sembra che S. Giulio sia sempre stata un cantiere, con “molta carne al fuoco” (anche se talvolta con poco fuoco per cucinarla), una Chiesa sempre in costruzione nelle strutture e nella comunità. E così deve essere per essere
viva! “Ogni giorno – ricorda don Silvano nel 2011 – siamo chiamati a rinnovarci, a non chiuderci nelle nostre sicurezze, a spalancare cuore e mente per accorgerci che non esistiamo solo noi, ma siamo circondati da uomini e donne in cammino come noi! Così è nel dirci Cristiani: lo si diventa giorno per giorno”.
Uno Stralcio di Storia Piccola
In un memorialino dattiloscritto e mai pubblicato, redatto nel 1979 e intitolato Una storia vera, don Virginio Melloni narra le premesse alla costruzione
e alla nascita della parrocchia.
“Tutto ha inizio in una sera dei primi di luglio del 1948. Aria più limpida e fresca dopo il temporale: un invito a inforcare la bicicletta e a perlustrare l’ultimo lembo della zona Vanchiglia. Allora le case si perdevano poco dopo l’attuale c. Brianza per lasciare spazio ai prati, a due cascinali, con vie tracciate su terra e qualche manciata di ghiaia, in pratica dei sentieri. Po e Dora chiudevano il triangolo carico di sole e coronato dalla verde collina, su in alto, in atto di protezione, la basilica di Superga. Il prete che stava sulla bicicletta era giunto nel rione due giorni prima: veniva dalla pianeggiante e ubertosa Marene, dopo aver trascorso i primi cinque anni di vicecura, vissuti con l’entusiasmo degli iniziati. La parrocchia di destinazione, Santa Croce, partiva da c. Tortona e si estendeva tra Po e Dora fino al ponte di Sassi.
Quella sera di luglio il prete della bicicletta, terminando la cena, dice al parroco don Osella: «Occorre comperare un pezzo di terra verso il fondo di c. Belgio». Don Osella posa il bicchiere e lo scruta sorpreso: «Sono appena ventiquattrore che sta qui e parla di comperare terra: per che uso?» «Per fare una chiesa», è la risposta. «Una chiesa per le mucche?», ribadisce don Osella. «Ho visto le mucche al pascolo: ma in quella zona dureranno ancora per poco. Là presto sorgeranno palazzi e vie nuove; è una zona ideale. E allora occorre provvedere una chiesa». Era l’ora della benedizione serale. «Senta, teologo – suggerisce il parroco – da stasera reciti l’Oremus di San Cristoforo». «E chi è?» «È il protettore degli automobilisti. Vedrà che festa a fine mese». Ma quella sera il teologo si confonde e recita l’Oremus per la dedicazione delle chiese.
In quegli anni, in cui la città dava inizio al suo sviluppo, non era difficile fare il profeta e prevedere case e vie nuove nelle periferie più belle e più prossime al centro. Ed è così che tutte le vie della zona, partendo da c. Brianza si popolano di case nuove e di nuova gente, di famiglie giovani, di pensionati …
Il prete della bicicletta sente che il Signore è d’accordo ad esaudire l’Oremus della dedicazione delle chiese, purché si muova. Eccolo allora in udienza dal suo arcivescovo card. Maurilio Fossati: «Eminenza, occorre comperare un pezzo di terra al fondo di c. Belgio per erigere una chiesa». «Io non ho mezzi – osserva l’arcivescovo – e poi è un problema del tuo parroco». Alla terza udienza il card. Fossati sorride: «Sei caparbio – dice – ma forse hai ragione. Ne parlo subito con Torino-Chiese». Siamo nel 1954: proprio allora ne aveva assunto la direzione il dinamico e fantasioso don Enriore. Così poco dopo viene confezionato l’acquisto di circa 5000 mq. nella zona presso lo sbocco della Dora nel Po, in un contratto con il Comune al costo di 5.500 lire al mq. Il prezzo viene pagato tramite un baratto dell’eredità a favore di Torino-Chiese dei conti Chiesa di Savigliano.
Nel gennaio del 1959 muore il curato di Santa Croce don Osella … Sono tempi di emozioni e di decisioni. Un mattino dello stesso mese don Virginio è in curia per pratiche e consegne come vicario economo di Santa Croce. Nel cortile, allora posteggio in prevalenza di bici e motorette, lo ferma un monsignore potente. È anche un amico, già suo professore in seminario. «Senti Virginio – gli dice – non pensavi un tempo di costruire una chiesa nel tuo rione?»
«Sì, monsignore. È bene che qualcuno cominci a pensarci sul serio: le case crescono, ci sono già alcune migliaia di persone. Il terreno c’è, occorre solo barattarlo con un altro più centrale e bisogna farlo subito». «Tutto questo puoi farlo tu», insiste il monsignore. «È un consiglio? un ordine?» «Sì, interessati tu di quella chiesa: è un invito». «E i mezzi?» «Pensaci tu, troverai qualche strada». È un’investitura ufficiosa-ufficiale, in mezzo a un cortile, senza bolli e pandette: passano così tre anni. Quel prete amava il teatro, le novelle, le poesie: qui c’era prosa, problemi di muri, di soldi, cose da sempre rifiutate, perché non da prete. Si comincia con alcune questioni formali, delineando i nuovi confini della futura parrocchia.
Il c. Brianza avrebbe diviso le due competenze territoriali e giurisdizioni; il patto si conclude con l’unanime consenso delle due parti, senza il tradizionale champagne: il prete della bicicletta firma infatti come responsabile delle due parrocchie, di Santa Croce come vicario-economo, di San Giulio come probabile parroco.
Ora bisogna pensare ai muri: la notizia corre presto tra la gente e molti attendono con gioia di poter collaborare. Il fantasioso don Enriore segnala al prete una possibile pista da seguire: «Sai, la Pia Unione di San Giulio d’Orta del Collegio Costruttori Edili, ho sentito che sta ventilando di costruire un tempio al suo Santo. Potresti vedere». In una riunione al Collegio Costruttori il prete incontra i capi più influenti, una quindicina di persone. Il progetto non è un tempio santuario chissà dove, affidato a chissà quali frati, ma una chiesa parrocchiale con una comunità cristiana ben definita, con un santo e una denominazione chiara: San Giulio d’Orta. Piace così com’è, e c’è anche una premessa: «Lei è un prete fortunato. – gli dicono – Con noi costruttori, seconda potenza dopo la FIAT, può andare tranquillo. Noi ci raduneremo presso la ‘nostra’ chiesa e lei sarà come nostro cappellano. Abbiamo l’architetto, professore al Politecnico, e noi siamo impresari». Quella sera stessa il progetto è affidato all’arch. Prof. Cento e a suo figlio e la costruzione al cav. Menaldo, Priore della Pia Unione.
Ai prof. Cento Giuseppe e Umberto andrà sempre l’elogio per l’amore congiunto all’umiltà, all’impegno, nonché all’onestà con cui seguono l’opera, così come al cav. Menaldo. Il denaro occorrente avrebbe dovuto arrivare a ruota, ma così non è stato.
Il prete ritorna in bicicletta a rivedere il tratto di terreno all’imboccatura della Dora con il Po e decide di cambiarlo ad ogni costo. Dove piantare la casa del Signore? Le voci sulla futura chiesa, le difficoltà di trovarle un terreno adatto avevano eccitato la fede della signora S. e della signora D., amiche dalla fervida fantasia. «Affidiamo la cosa alla Madonna», concordano tra loro e vanno errabonde per i prati della zona finché adocchiano il terreno … scelto dalla Vergine: scavano una buca e vi seminano due medaglie. Da allora, come ad un santuario, vengono spesso a pregare, a fare progetti, a immaginare il tipo di chiesa che dovrà nascere. «Cerchi pure – dicono con un certo sorriso al prete della bicicletta che continuava ad arrabattarsi – noi il terreno l’abbiamo già trovato».
Anche al prete sembrava di averlo individuato (l’attuale piazza antistante la chiesa), ma quando si accosta per trattare le condizioni del baratto, il prezzo si mostra elevatissimo, impossibile da realizzare. Ne adocchia un secondo, più centrale ancora, ma al momento di iniziare una qualsiasi trattativa, ecco una sorpresa: il terreno oggetto di baratto, in una ennesima variazione del piano regolatore, viene dichiarato zona verde, quindi non trattabile per un cambio con un terreno da costruzione. L’errore viene rimediato, ma con mesi di pratiche e trattative che mandano in fumo anche quella speranza.
Finalmente la notte del 20 giugno 1961, festa della Consolata, il baratto con l’attuale terreno, quello delle medaglie. Che l’abbia voluto proprio Maria sembra indicarlo il modo in cui viene superata in Comune l’opposizione dei consiglieri contrari.
Così come l’aver rinunciato ai diritti di cubatura, valevoli all’epoca fior di milioni, sembra indicare anche che la Madonna non ama i fiori di facile coltivazione sulle sue terre.
Prime frotte di ragazzini da preparare alla Prima Comunione bussano alla chiesa che non c’è. Ma un’altra chiesa fra le mura domestiche si apre loro. È la sala di casa della famiglia A.: ogni sera occorre spazzare mucchi di terra e di carta straccia, ma la padrona di casa è felice di aver ospitato Gesù. Più tardi i ragazzi verranno nella canonica in costruzione, con patemi d’animo dei catechisti per la carenza dei gradini veri, dei vetri e delle porte.
I ragazzi capiscono il valore della casa anche per Gesù, infatti gli regalano il tabernacolo, quello attuale. Poi lo pregano perché benedica i biglietti delle varie lotterie nazionali acquistati … invano, per tutti quei mattoni da comperare. Con le loro s’intrecciano le preghiere richieste a varie Clausure vicine e lontane: le mani alzate di quelle suore saranno sempre la garanzia più sicura nelle difficoltà. Amiche fedeli e discrete parteciperanno a tutte
le vicende della parrocchia, ottenendo spesso da Dio ciò che non sembrava sperabile.
Ora c’è il terreno, il terreno delle medaglie, … ma è coltivato a vivaio di piante. Si sa: le piante, i pini, i faggi, gli abeti non crescono come le lattughe. Il proprietario delle piante, pur sapendo di trattare terreno concesso in subaffitto, fa opposizione per mesi all’inizio dei lavori.
Alla fine, un mattino d’ottobre 1961 scende nel campo la draga: il terreno viene sgomberato e il rombo dei macchinari annunzia che la chiesa di San Giulio sta per diventare realtà.
Riconoscendo la necessità di una casa parrocchiale accanto e al servizio della chiesa futura, il prete della bici aveva adocchiato un alloggio in c. Belgio da affittare ad uso canonica e uffici: gli sembrava così, senza una vera casa parrocchiale, più genuino l’interesse per la chiesa. Ma consigli di amici, ripensamenti sugli sviluppi futuri, sulla libertà di movimenti, piegano il suo primitivo desiderio, e viene la casa. Viene subito, prima della chiesa, perché i relativi disegni … erano giunti prima e ormai operativi.
Il prete della bicicletta deve così imparare, suo malgrado, a leggere disegni tecnici, a collaborare con gli addetti ai lavori nella sistemazione corretta delle varie parti, a prevedere gli sviluppi delle vicende costruttive …
Il 12 novembre 1961 viene finalmente posta la prima pietra: tre spuntoni di grosse colonne, come pecore in un prato, segnalano una costruzione imponente.
Fa molto freddo.
Il vecchio e affezionato card. Fossati benedice le future fondamenta, mentre cantori, armonium con il maestro Azario, che rimarrà fedele all’impegno di animare le Messe anche quando si sposterà a Savona, diffondono attorno canti di gioia e di speranza. Una pergamena con i nomi dei presenti viene chiusa col cemento entro una colonna per i posteri.
Nell’aprile del ’62 quel solito prete ritorna in curia, piuttosto curioso di sapere, alla fin fine, in che veste egli continui ad occuparsi di quella chiesa, visto che il tutto va avanti sulle parole pronunziate anni prima nel cortile della curia stessa: «Quella chiesa falla tu».
Al termine della mattinata riceve l’investitura a Parroco, salvo il tempo delle indagini da parte della Prefettura e salvo il concorso.
«Ne ho fatti due di concorsi», dice quasi per caso al cancelliere. Questi va a spuntare i registri e riscontra che sono validi per l’idoneità. L’idoneità era per l’esercizio ministeriale della Parola, per l’amministrazione dei Sacramenti, per la guida del gregge, ma lì per lì sembrava piuttosto un’idoneità ad erigere muri, aprire finestre, fare scavi, collocare impianti, interrare fogne, insomma per fare debiti e trovare il modo di pagarli.
Contrariamente a quanto avevano indicato le premesse, il problema economico non era di facile soluzione. L’impresario a cui andavano direttamente i contributi dei Costruttori Edili, rivelatisi molto scarsi, risultava creditore di decine di milioni di lire. Edificare subito tutto il complesso, o anche solo tutta la chiesa, era ormai un sogno. Il prete della bici prende coscienza della situazione una sera, verso la mezzanotte, discutendo in macchina di ritorno da una cena di amicizia e di lavoro con l’impresario cav. Menaldo. Viene smontata con rammarico la gru e si pensa all’uso del sottochiesa come … vera chiesa, almeno per un certo tempo”.
La Storia Continua
La chiesa sorge su un’area di 3.930 mq. È progettata dagli architetti prof. Cento Giuseppe e Umberto, quest’ultimo per i calcoli del cemento armato insieme all’ing. Michele Selleri. In un primo tempo sono costruiti il sottochiesa e la casa (1961-62): il 16 dicembre 1962, come riporta un articolo sul settimanale diocesano La Voce del Popolo, sono “… a disposizione dei fedeli la cappella, la ‘Casa Amica’ edificio per i giovani, per le associazioni parrocchiali, con un cortile per i giochi, il salone parrocchiale e la casa parrocchiale. Don Melloni annuncia ai fedeli che tra la chiesa e via Verbano sorgerà un moderno asilo con annessi locali per la gioventù femminile e l’abitazione delle insegnanti e delle suore”.
Nel 1964 viene aperta la Scuola Materna. Poi nel 1966 si comincia la costruzione della chiesa grande “… da parte dell’impresa Cogerino, vincitrice dell’appalto pubblico – scrive mons. Enriore in un testo pubblicato nel 1995 – Terminate le strutture, muore tragicamente il Cogerino; allora l’Opera prosegue i lavori in conduzione diretta con gli operai della Ditta… Spesa totale £. 180.000.000, coperti da mutuo statale di £. 150.000.000”.
Le immediate conseguenze della morte dell’impresario sono vissute in modo drammatico dai più diretti interessati, gli operai del cantiere, come narra don Virginio nel già citato memorialino Una storia vera. “L’8 aprile del ’68, alle 8 del mattino, il curatore fallimentare telefona al parroco: «Il suo impresario è caduto, è fallito»… Giù nel cantiere sono sopraggiunti gli operai, stanno riprendendo i lavori … Chi li pagherà adesso? Quel prete della bicicletta li invita su in una sala della canonica, offre il vermouth, telefona a mons. Enriore di Torino Chiese, va a celebrare la Messa di orario, ritorna e comunica agli operai: «Non avete più datore di lavoro».
Un urlo: «Ho sei bocche da …», e altri in lacrime. Il prete della bici intuisce il dramma e afferra il telefono, insieme a monsignore … Per mezzogiorno due terzi degli operai hanno il lavoro presso altre ditte. L’occasione ha rivelato la sensibilità e la solidarietà dei soci della Pia Unione San Giulio d’Orta. E i lavori? Lì si rivela la Provvidenza. Il parroco alcuni mesi prima aveva sottoscritto un contratto con un’assicurazione milanese. La polizza assicurativa è valida: si possono riprendere i lavori”.
A parte questa tragica parentesi, così sintetizza quegli anni don Virginio sul giornalino parrocchiale nel 1989: “S’innalzano colonne, si adagiano travi, si eleva il tiburio; un castello di cemento che stupisce per la mole, l’altezza e l’arditezza… La mole del tempio (siamo negli anni caldi della contestazione) è motivo di diatribe animate sul senso della povertà della Chiesa e le ricchezze dei Cristiani. Avranno un’eco a inizio dello stesso rito della consacrazione … Il tempio solenne nella struttura, povero nei mezzi usati (cemento, mattoni, marmo bianco, legno) si armonizza con le case del quartiere e ne accresce la bellezza”.
Non mancano gli imprevisti: l’erezione del muro in paramano è affidata a cottimisti troppo frettolosi. Eseguiti i primi cinque metri per tutto un fianco
della chiesa, il muro si presenta mal costruito, irregolare. Gli architetti denunziano la questione e il muro viene abbattuto e rifatto. Poi però passa inosservata a tutti l’anomalia costruttiva più grave, la mancata ancoratura del muro in paramano alla struttura di cemento che darà problemi negli anni successivi. La chiesa si presenta su corso Cadore come un imponente volume, a navata unica di oltre 1.000 mq.