Bella questa pagina, anche se un po’difficile.
Ci sono alcuni greci, cioè dei pagani, che desiderano vedere Gesù. Gli apostoli si passano la voce e i greci vengono presentati a Gesù. Il loro voler vedere è un voler capire questo rabbì così diverso dagli altri, diventato scomodo alle autorità religiose (farisei e capi dei sacerdoti), che accoglie stranieri, peccatori, poveri, che guarisce malati, che rifiuta di farsi re.
Il messaggio è chiaro: a Gesù si arriva solo con l’aiuto e grazie alla mediazione di altre persone magari diverse dal nostro modo di pensare o diverse per cultura. Pensiamo al viaggio di papa Francesco in Iraq.
La risposta di Gesù sembra non seguire la richiesta, anzi spiazza tutti.
Sta dicendo: “E’ venuta l’ora che il Figlio del’uomo sia glorificato”e commenta questa frase spiegando come il chicco di grano che può portare frutto solo se seminato nel terreno, cioè solo morendo nascerà dal chicco nascerà la spiga da cui si ricava la farina, poi il pane, quindi vita per tutti.
In altre parole chi vuol conoscere Gesù deve vederlo innalzato sulla croce, travolto dalla violenza degli uomini perché il bene vinca il male, l’amore vinca l’odio.
L’amore di Dio manifestatosi in Gesù sulla croce sarà l’unico linguaggio che tutta l’umanità può comprendere.
Questo sconcerta chiunque.
Gesù ci dice: solo donando la vita, cioè amando totalmente gli altri si porta frutto.
Chi vive solo per se stesso diventa egoista, triste ed è sempre insoddisfatto.
Chi invece spende la vita per gli altri diventa ricco di umanità, carico di gioia e dà senso alla sua esistenza.
“Odiare la propria vita” non vuole dire disprezzare la vita, ma è un modo orientale per dire che dobbiamo anteporre gli altri al nostro “io”.
Seguire Gesù significa fare nostro il suo mettersi a servizio degli altri, perché Gesù si nasconde nel povero, nel disabile, nell’immigrato, nel diverso.
Con Gesù e pensando come lui, ognuno di noi inizia una vita indistruttibile che non finisce nemmeno con la morte.
Gesù sta dicendo “chi ama la propria vita”, cioè chi pensa soltanto a sé stesso si perde. La persona si realizza nella misura in cui ha la capacità di donarsi agli altri. Dare non è perdere, ma è guadagnare. La vita si possiede nella misura in cui si dà.
Allora chi pensa soltanto per sé finisce col perdersi; chi invece non pensa solo a sé stesso si realizza per sempre.
E Gesù continua: “Se uno mi vuole servire mi segua e dove sono io là sarà anche il mio servitore”.
Gesù finirà sul patibolo riservato ai maledetti dalla società, ai rifiutati dalla società.
E conclude: “Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”, quindi alla croce, che è il massimo disonore, corrisponde il massimo onore, quello del Padre.
Più l’uomo si dona, più la presenza del Padre si manifesta in lui e nel mondo.
Non si può servire Gesù stando a distanza di sicurezza.
Se si segue Gesù bisogna essere capaci di affrontare le inevitabili sofferenze e persecuzioni che vivere come lui comportano.
Giovanni conclude con le parole di Gesù: “L’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora”. Cogliamo questa umanità di Gesù.
Il suo è un cammino che turba, che inquieta e Giovanni non ha paura di dire questo. Ma è proprio questo essere “innalzato” che permette al Padre di attirare a sé tutti gli uomini.
Dal disonore della croce nasce la “gloria” che ci insegna ad amare cioè spendere la propria vita perché l’altro trovi ciò di cui ha bisogno.
Penso ai malati che vado a visitare e che mi offrono ogni volta una testimonianza fortissima di accettare la croce della sofferenza.
Penso ai tanti che manifestano a Myanmar in Birmania.
Penso oggi (ieri) sabato 20 marzo in cui si celebra la 26.ma giornata della memoria delle vittime innocenti della mafia e ribadire l’importanza della cultura della legalità, della responsabilità che ha coinvolto e coinvolge insieme società civile e istituzioni.
Ecco come questo vangelo diventa speranza per ciascuno di noi.