Se domenica scorsa abbiamo contemplato Gesù che si trasfigura davanti a Pietro Giacomo e Giovanni, oggi la liturgia ci porta nel tempio di Gerusalemme dove Gesù compie un gesto rivoluzionario: scaccia i mercanti dal tempio.
Interessante notare come tutti e quattro gli evangelisti raccontano questo episodio (Mc1,16; Mt 21,12-13; Luca 19,45-48; Gv.2,13 s.)
Giovanni pone questo episodio all’inizio del Vangelo, (siamo al capitolo 2) dopo il miracolo delle nozze di Cana: il messaggio è chiaro: fin dall’inizio l’evangelista ci aiuta a capire che Gesù é il nuovo tempio e la pasqua cristiana non sarà più un rituale di norme, di sacrifici, di obblighi, di precetti e di divieti che rendono nuovamente schiavi e che ci introducono nella logica del mercato.
Il tempio era diventato un mercato vero e proprio trasformando la casa di preghiera in luogo di affari, di denaro.
Al tempo di Gesù Gerusalemme contava circa 50.000 abitanti che diventavano circa 200.000 durante le feste pasquali.
Se la pasqua ebraica era ricordare il cammino di liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ora invece era diventata pretesto per rafforzare il potere economico e spirituale delle guide religiose.
Certe persone non potevano andare a pregare perché venivano escluse: erano le donne, i pubblicani, i peccatori, i poveri, gli orfani, le vedove, ecc. cioè gente che tante volte avevano incontrato Gesù e lo seguivano. Pensiamo ai tanti episodi del vangelo.
E la gente aveva desiderio di pregare il Signore per convertirsi, per chiedere aiuto, per chiedere perdono. Questi non avevano i soldi per pagare l’entrata nel tempio, o se li avevano non ritenevano giusto pagare per pregare il Signore.
Molti profeti avevano denunciato questo culto del tempio. Leggiamo nei profeti: “Che mi importa dei vostri olocausti, sono sazio del grasso di montoni e degli agnelli …. Smettete di presentare offerte inutili”. (cf. Isaia; Amos).
I profeti volevano purificare il tempio, volevano ridare al luogo di culto il suo vero significato.
Gesù è radicale: non vuole correggere, cambiare o purificare il tempio.
Per Gesù é l’intero sistema religioso che va cambiato.
Gesù usa la frusta non contro i peccatori, ma contro il tempio e chi lo rappresenta.
Gesù Egli entra nel tempio pieno di sdegno: rovescia i banchi dei cambiavalute e caccia i mercanti indaffarati a vendere buoi pecore e colombe.
Ai giudei sorpresi dal suo comportamento, Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo farò risorgere”.
Il vero tempio diventa Gesù che si dona a tutti e Giovanni lo precisa bene: “egli parlava del tempio del suo corpo” e propone un’altra Pasqua: un banchetto in cui si celebra il dono del “corpo dato per voi”, il sangue versato fonte di gioia e di vita nuova.
Infatti Giovanni dice che “quando fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da di Gesù”.
Ciò significa che d’ora in poi nessuno viene escluso dalla possibilità di incontrare Gesù, perché è lui il vero tempio e noi non compriamo Gesù con i soldi, ma possiamo rivolgerci a lui così come siamo con il nostro carattere, la nostra vivacità, il nostro entusiasmo, le nostre paure, i nostri peccati.
Le chiese edificio sono luoghi in cui possiamo incontrare Gesù, (certamente per mantenerle c’è bisogno di offerte che la gente può dare spontaneamente), ma Gesù lo possiamo incontrare in ogni luogo e pregarlo ovunque.
Gesù ha in mente un altro progetto di “Regno di Dio”: non dominio, ma servizio gratuito.
Se l’uomo è immagine di Dio, io scopro Dio nella persona, nella sua bontà, nel suo donarsi, nel suo amare e perdonare, nel suo gioire con chi gioisce, nel soffrire con chi soffre. E noi?
Come dice papa Francesco, i malati e i poveri sono il corpo di Cristo e della sua Chiesa. Servirli è adorare Dio. Abusare di loro o del proprio corpo è una profanazione.
L’evangelista ci racconta che, vedendo Gesù fare dei “segni”, molti credettero, ma Lui non si fidava.
I vangeli parlano molto della opposizione e dei tradimenti che ha dovuto soffrire Gesù, fino a rimanere praticamente solo e abbandonato da tutti.
Nella vita di Gesù ci sono stati di momenti esaltanti, di entusiasmo, in cui le moltitudini lo seguivano pensando di aver trovato un re di cui potevano profittare o un capo utile ai loro programmi politico o religiosi.
Gesù non cade nella trappola di quell’ entusiasmo facile, che voleva separarlo dalla sua vera missione in obbedienza al Padre.
La tentazione dell’entusiasmo facile e della superficialità si presenta anche a noi come singoli o come gruppi nella Chiesa.
Chiediamoci: non rischiamo anche noi di essere tentati di accontentarci di una religiosità superficiale, più rivolta a costruirci una immagine apparente di fede mentre la nostra vita cammina su altri binari?
Questa non è la strada di Gesù.
Lui non si scandalizza per quei suoi “amici” che l’abbandonano, né confonde la fede con l’applauso facile; sa invece riconoscere la fede autentica, sincera, “incarnata” in un corpo e in una vita generosamente consegnata in adorazione e servizio al “corpo di Cristo” nel’Eucarestia e nei Poveri.